E’ difficile trovare una disamina più precisa e oggettiva delle assurdità – quando non delle vere e proprie crudeltà – di cui sono costellati i dogmi e i principali asserti della Chiesa Cattolica. E non si tratta di vecchie e superate tradizioni, qui si parla di snodi cruciali, di punti fondamentali affrontati e discussi in Concili dirimenti e poi ribaditi nei secoli nei modi più autorevoli da Papi e Santi; e chi non li accetta è un eretico.
E cominciamo proprio da qui: qual è il destino di chi non condivide - alla lettera - questi dogmi? L’inferno eterno, nientemeno. Assieme ai bambini morti senza battesimo, ai concepiti non nati, ai portatori di peccati gravi quali un bacio ricevuto con piacere (c’è un’apposita dichiarazione papale) o il solo pensiero (il pensiero!) che si amerebbe propria moglie anche se non si fosse sposati.
Ma a parte questi dettagli quasi folkloristici, quello che fa impressione è che c’è un pensiero forte dietro, e questo pensiero è orrendo: la sorte spaventosa e senza scampo riservata senza colpa a gran parte dell’umanità.
Chi è il responsabile di questo pensiero? Alcuni Santi interpretatori certo, in particolare S. Agostino. Ma anche, (dispiace dirlo, visto che in fondo resta il più simpatico e fuori ruolo della congrega) anche Gesù Cristo, a cui si deve gran parte dell’insistenza sull’inferno (molto più sfumata nel pur terribile Antico Testamento); Cristo Salvatore, certo, Redentore, ma da cosa? Dal peccato originale, cioè una colpa che nessuno di noi ha commesso. Ci redime da qualcosa che non abbiamo fatto, insomma; ci salva da sé stesso.
E dietro il pensiero della Grazia sola salvatrice (le opere non sono sufficienti), e viceversa della massima punizione per il minimo errore commesso, c’è direttamente l’immagine della schiavitù, del servo senza diritti e senza ricompensa, a meno del grazioso capriccio del padrone (o dei suoi rappresentanti). (non a caso ancora alla fine dell’Ottocento un Papa dichiara che “il vero fine della religione è la sottomissione” e il vero errore è la libertà di stampa, la libertà di pensiero, la libertà di culto... tutti concetti recentemente ripresi da qualche nostro simpatico monsignore.)
Non c’è novella più spaventosa della buona novella, dice l’autore, e non c’è pari orrore in nessuna religione nella storia dell’umanità (e bisognerebbe anche domandarsi quale sia la sua relazione con la feroce efficacia europea nella conquista del mondo o – aggiungo io – con teorie stranamente affini, per quanto atee, come il comunismo).
Eppure questo libro, a differenza di altri, anticlericali, rivela (nonostante qualche ingenuità ed eccentricità accademica dell’autore) una profonda religiosità, una passione per la mistica; il sogno che come un razzo partito verso il cielo, l’uomo possa finalmente liberarsi del “primo stadio” delle storiche assurdità che hanno fornito il propellente per staccarsi da terra, per volare verso un’idea di Dio, presente proprio perché assente, evidente proprio perché non se ne parla. Bello anche quando ricorda che la vera filosofia non è libresca, ma richiede di saper affrontare anche il rischio fisico: alpinismo, navigazione notturna sotto costa, ecc.
L’autore non manca infine di rilevare (come però è comune al percorso della sua generazione) che la storia oggi sembra andare tutta in un’altra direzione: a favore di una Chiesa assertiva, organizzata, tradizionalista se non addirittura reazionaria, con i suoi folli dogmi ben spolverati.
Come se questa nobile scelta del silenzio fosse alla lunga solo perdente; come se ci fosse spazio solo per falsità crudeli, ma efficaci.
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