lunedì 28 settembre 2009

Lavoro

Non è tanto il fatto di sbattersi come dei matti per fare guadagnare milioni di euro a qualche sconosciuto fondo di investimenti americano (che del disastro che facciamo delle nostre città non gliene importa niente, anzi neanche lo sa); e non è neanche il fatto di farlo per due lire.
Non è neanche quando, dopo che tutto il lavoro che è stato fatto, con grande impegno e sacrifici personali, tempo portato via agli amici, alla famiglia, cibo mangiato in fretta, sonni interrotti, vacanze rinunciate, il lavoro viene buttato via perché il manager (figlio di papà) nel frattempo ha cambiato idea.
E’ quando alla riunione lo stesso manager, che è lì perché da piccolo giocava a tennis con il capo, ha una brillante idea: invece di andare in Comune a proporre quel piano (lungamente e faticosamente concordato), perché invece non cambiamo prospettiva? Anziché chiederci quali opere faremo noi per il Comune, chiediamoci: cos’è che il Comune farà per noi?
Figurarsi. E toccherà a noi riportare questa sciocchezza ad un assessore o a un dirigente allibiti, vedere fermarsi le trattative, andare a male il progetto, e alla fine essere ritenuti responsabili e mandati via.

Il manager intanto gioca a golf, o va in barca, e medita sulla prossima trovata.

(“Vede, in questo mondo,” mi diceva il dirigente di un importante società, “in questo mondo o si è di buona famiglia – e qui non si parla di nepotismo, no! qui intendo che si sono frequentate le scuole giuste, ricevute le giuste segnalazioni, incoraggiati nel verso giusto – oppure si è dei geni; oppure non si è nessuno. Non c'è più l'onesto lavoratore che fa bene il suo mestiere.”)

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