C'è
una grotta, quella di Chauvet, dove circa 30.000 anni fa i nostri
progenitori – peraltro del tutto simili a noi come siamo adesso, la
fisiologia non è cambiata – hanno lasciato disegni di incredibile
realismo. I leoni sono disegnati con una tale perfezione e con
dettagli così precisi, che questo ha permesso di risolvere i dubbi
dei paleobiologi sulle parti molli degli animali, poco conservate nei
fossili: i leoni maschi avevano o no la criniera, ad esempio? Ebbene
si è risolto perché il disegno della coppia di adulti, maschio e
femmina, è preciso e chiarissimo, sia nel sesso dell'animale che
nella capigliatura (per inciso, non l'avevano). E pensate al
coraggio, alla curiosità e alla dedizione che ci voleva per stare lì
vicino nascosti a ritrarre un animale comunque molto pericoloso; per
poi riprodurlo sulle pareti della caverna, al buio. E lì, colpisce
la fantasia del pittore: le leonesse sono dipinte dietro una grossa
stalattite, che scrutano di nascosto i pacifici erbivori che stanno
al di là sulla parete, ignari. Una mise en scéne di tutto
rispetto, site-specific, si direbbe adesso.
Ma non è finita. In un'altra grotta, un cinghiale di argilla, perfettamente rappresentato con grande realismo, è tagliato in due da un colpo di lancia – una performance. Due chilometri in fondo a una grotta, dove passavano il letargo gli orsi delle caverne – ci sono ancora i segni degli unghioni sulle pareti – una fila di mammut. E un autoritratto degli autori: senza barba, con un cappellino, il nasino. Uguali a noi, insomma, non dei bestioni come li si rappresenta di solito (ma tutti quei grossi animali sono spariti, cacciati fino all'ultimo in realtà non per motivi di nutrimento, ma come festa dei cacciatori esibizionisti – potenza della socialità! - chiamiamola così...).
Di questa tradizione figurativa, che durava appunto da trentamila anni, il Novecento verrà ricordato come l'età in cui è scomparsa (come dice Jean Claire).
Non dico che vada recuperata nella forma. Ma almeno nello spirito.



Ma non è finita. In un'altra grotta, un cinghiale di argilla, perfettamente rappresentato con grande realismo, è tagliato in due da un colpo di lancia – una performance. Due chilometri in fondo a una grotta, dove passavano il letargo gli orsi delle caverne – ci sono ancora i segni degli unghioni sulle pareti – una fila di mammut. E un autoritratto degli autori: senza barba, con un cappellino, il nasino. Uguali a noi, insomma, non dei bestioni come li si rappresenta di solito (ma tutti quei grossi animali sono spariti, cacciati fino all'ultimo in realtà non per motivi di nutrimento, ma come festa dei cacciatori esibizionisti – potenza della socialità! - chiamiamola così...).
Di questa tradizione figurativa, che durava appunto da trentamila anni, il Novecento verrà ricordato come l'età in cui è scomparsa (come dice Jean Claire).
Non dico che vada recuperata nella forma. Ma almeno nello spirito.



[ah, in un'altra grotta hanno trovato anche un flauto d'osso, con cui si
possono suonare le sette note – e quindi anche le nostre canzoni. E
in giro ci sono ancora testi che dicono che va superata la musica
tonale, che è stata “imposta”. Ma per favore...]
[E nel giorno più buio dell'anno, una lama di luce del sole nascente entra nella stanza più nascosta di un dolmen, a fecondare la vita che rinasce]

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