Nel 1291 i fratelli Vivaldi di Genova
armarono due galee e superarono le colonne d'Ercole, per raggiungere
le Indie passando per l'Oceano: due secoli prima di Colombo. Giunsero
sulla costa marocchina davanti alle Canarie, forse le raggiunsero;
ripartirono da lì; e questa è l'ultima notizia che si ha di loro.
Qualcuno sostiene che proseguirono lungo le coste dell'Africa, e anzi alcuni Etiopi giunti a Genova qualche anno dopo sostennero che erano arrivati da loro (!), ma che non erano più riusciti a tornare (forse li confondevano con altri, scesi lungo il Mar Rosso), notizia comunque consolatoria per i parenti rimasti ad aspettarli.
Un avventuriero genovese del Quattrocento, Antoniotto Usodimare, sostenne di aver incontrato molti anni dopo lungo il fiume Senegal un bianco che parlava genovese, e che era un loro discendente (anche questo, inverosimile: come aveva fatto a mantenere il colore della pelle, sua mamma com'era?). Ma Usodimare era uno abituato a raccontare palle, sempre inseguito dai creditori.
E un regista italiano della serie Mondo Cane sostenne anche di aver trovato in Africa negli anni '60 una lapide con le loro iniziali targata “ad 1294”, ma la foto si è persa e il sito è stato allagato per la diga di Kariba (e va be').
Ma è più probabile invece che una volta raggiunte le Canarie, da lì abbiano tentato di andare verso Ovest, verso l'America insomma; d'altra parte era un fatto acquisito fin dai Greci che la Terra era rotonda, e i racconti dei marinai del Nord che avevano trovate terre verdi, le terre dei boschi e del vino, giravano anche a Genova. E quindi forse morirono nell'attraversata dell'Oceano. O forse raggiunsero il Brasile, le Antille: dove invece di fare schiavi gli indigeni, torturarli e ammazzarli e rubargli l'oro, forse decisero di convivere pacificamente con quella gente. Le navi prima o poi si rovinarono, e non poterono più tornare indietro. E quando arrivò il loro concittadino Colombo, i loro discendenti oramai si confondevano con i nativi. Chissà.
Questi dunque furono i fratelli Vivaldi di Genova; Dante forse si ispirò a loro per il folle viaggio di Ulisse. Ma adesso non se ne ricorda più nessuno (o quasi).
Qualcuno sostiene che proseguirono lungo le coste dell'Africa, e anzi alcuni Etiopi giunti a Genova qualche anno dopo sostennero che erano arrivati da loro (!), ma che non erano più riusciti a tornare (forse li confondevano con altri, scesi lungo il Mar Rosso), notizia comunque consolatoria per i parenti rimasti ad aspettarli.
Un avventuriero genovese del Quattrocento, Antoniotto Usodimare, sostenne di aver incontrato molti anni dopo lungo il fiume Senegal un bianco che parlava genovese, e che era un loro discendente (anche questo, inverosimile: come aveva fatto a mantenere il colore della pelle, sua mamma com'era?). Ma Usodimare era uno abituato a raccontare palle, sempre inseguito dai creditori.
E un regista italiano della serie Mondo Cane sostenne anche di aver trovato in Africa negli anni '60 una lapide con le loro iniziali targata “ad 1294”, ma la foto si è persa e il sito è stato allagato per la diga di Kariba (e va be').
Ma è più probabile invece che una volta raggiunte le Canarie, da lì abbiano tentato di andare verso Ovest, verso l'America insomma; d'altra parte era un fatto acquisito fin dai Greci che la Terra era rotonda, e i racconti dei marinai del Nord che avevano trovate terre verdi, le terre dei boschi e del vino, giravano anche a Genova. E quindi forse morirono nell'attraversata dell'Oceano. O forse raggiunsero il Brasile, le Antille: dove invece di fare schiavi gli indigeni, torturarli e ammazzarli e rubargli l'oro, forse decisero di convivere pacificamente con quella gente. Le navi prima o poi si rovinarono, e non poterono più tornare indietro. E quando arrivò il loro concittadino Colombo, i loro discendenti oramai si confondevano con i nativi. Chissà.
Questi dunque furono i fratelli Vivaldi di Genova; Dante forse si ispirò a loro per il folle viaggio di Ulisse. Ma adesso non se ne ricorda più nessuno (o quasi).
[nella scoperta dell'America, fanno parte del racconto i contrasti fra Colombo e gli studiosi di Salamanca prima della partenza: questi ritenevano l'impresa impossibile perché vengono rappresentati come portatori di un sapere vecchio, medievale, aristotelico, terrapiattista o altro: Colombo, più moderno, pensava di raggiungere le Indie e invece aveva finito per scoprire l'America "per caso". E questo viene citato spesso come esempio: si parte con un'idea, si scopre qualcosa di diverso, senza volerlo.
In realtà gli studiosi di Salamanca avevano ragione. Si sapeva benissimo che la terra era rotonda, e anche le sue dimensioni, con un errore di approssimazione inferiore all'1%. La distanza fra Gibilterra e il Giappone o le Filippine (che si sapeva benissimo dov'erano) era eccessiva per le navi dell'epoca. E anche Colombo lo sapeva. E allora perché voleva partire?
Un libro recente, "Marckalada", fa immaginare una diversa ipotesi. Parla di un libro scritto agli inizi del 1300 da un abate di Sant'Ambrogio a Milano (libro poi diviso in due agli inizia dell'Ottocento, metà è alla Braidense, metà finisce negli Stati Uniti in mani private ignote - ma che ne hanno permesso la consultazione per un'ora, tempo sufficiente a scoprire che) nel libro si accenna al fatto che "i marinai raccontano..." che oltre la Norvegia c'è un'isola chiamata Islanda, e oltre un'isola chiamata Groenlandia, e oltre una terra chiamata Vinlandia, e oltre ancora una terra chiamata Marckalanda (ovvero terra dei boschi). Ohibò! E come mai un abate di Milano (città di pianura) sapeva questo? Perché conosceva un prete di Genova. E il prete di Genova conosceva i marinai del porto. E i marinai arrivavano fino a Londra, dove scendevano a portare le loro merci (pellicce, ma anche i falconi bianchi molto apprezzati in Arabia) i marinai del Nord. Che, come sappiamo, arrivarono in America con Erik il rosso. E come mai di queste notizie circolavano così poco, come mai non ne abbiamo se non questa testimonianza scritta? Perché i genovesi prima ancora che marinai erano commercianti; e notizie come queste erano preziose, e tenute ben segrete.
Quindi può darsi che nella sua disputa con i sapienti di Salamanca Colombo avesse in realtà il suo asso nella manica: che sapesse cioè la distesa d'acqua fra Gibilterra e il Giappone fosse in realtà interrotta almeno da una terra, magari un'isola (come dicevano i marinai). E quindi la disputa era fra una conoscenza esatta, ma libresca; e una conoscenza a voce, di chi va in giro per il mondo.]
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