Suo papà, un poliziotto, era stato ucciso in uno scontro a fuoco con le Brigate Rosse quando lui aveva quattro anni. Erano andati a casa di questo giovane brigatista per arrestarlo, il famoso Walter Alasia, poco più che un ragazzo, ma quello era sbucato fuori con la pistola e aveva sparato. Suo papà aveva la mitraglietta, ma sulla linea di tiro aveva i genitori e il fratellino del brigatista, e non se l'era sentita di fare lo stesso. Il ragazzo era scappato, ma per finire ucciso in cortile poco dopo.
Per cui non riesco a provare rancore per lui, diceva, era giovane ed è morto. Il mio odio era per chi l'aveva convinto, per chi lo aveva portato fino a quel punto, per Curcio, il capo, l'iniziatore di tutto. Siamo rimasti soli io e la mamma, spiega, è stata davvero dura, nessuno ci ha aiutato, solo qualche collega di papà ogni tanto passava a trovarci. E questo odio e rancore per Curcio, facevo i piani per ammazzarlo, ci pensavo sempre mentre diventavo grande.
Un giorno vengo a sapere che Curcio – oramai in semilibertà – avrebbe parlato in un centro sociale qui vicino. Scendo, vado a cercarlo. Sapevano chi ero. Lo vedo, Curcio, è spaventato quando mi avvicino. Gli metto una mano sulla spalla e gli dico: volevo solo che tu mi vedessi in faccia.
[tratto dal Libro dell'incontro di Bertagna, Ceretti, Mazzucato. Il resto del libro mi sembra un po' astratto e teorico. Ma in questo racconto c'è tutto.]
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