giovedì 22 agosto 2019

Il Bello (per gli esperti)


Secondo Harari (e molti altri) nella modernità il bello (e il vero e il giusto) è quello che è accettato come tale dalla comunità di chi si occupa di quelle cose. Non c'è insomma – come sappiamo tutti – un criterio oggettivo (“è bello ciò che è bello”), ma piuttosto soggettivo (“è bello ciò che piace”, sottintendendo: alla maggioranza di quelli che ne capiscono qualcosa).
Dietro questa opinione (peraltro diffusissima) mi sembra ci sia però il rischio dell'accademia. Non più dell'accademia muffosa di un tempo, ma magari di quella dei tavolini e dei vernissage, sempre in evoluzione (e in realtà sempre simile a sé stessa): la cosiddetta comunità degli “esperti”. Si va quindi a degli incontri per capire cosa va. Più alto ed esclusivo il livello degli incontri a cui si partecipa, più aggiornato il gusto – fino a quando alla fine nessuno capirà più cosa si volesse fare, è tutto un dialogo interno autoreferenziale: e se alla mostra non si avvicinasse premuroso il commesso a sussurrarti il significato dell'opera, nessuno ne capirebbe nulla.
Mi piacerebbe capire cosa distingua alla lunga questa atteggiamento dalla tanto vituperata accademia. È invece un'idea di bello (per quanto fragile, inconsistente e immotivata) che ci dovrebbe guidare.

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