venerdì 13 agosto 2010

Ernst Jünger

Sulla questione degli ostaggi (Guanda)

Molti pensano a Jünger come a una sorta di protonazista, un esaltatore della guerra e della violenza, il militare tedesco alto e biondo che “nelle tempeste d’acciaio” avanza verso le linee nemiche in piedi, calmo, senza elmetto, sotto il fuoco nemico fra l’esplosione delle granate, in un paesaggio irreale, completamente deformato e distrutto incessantemente, giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno dal martellare delle artiglierie.
Qualcuno ricorda invece la sua posizione antihitleriana (leggibile sembra, ma molto fra le righe, in “sulle scogliere di marmo” che confesso di non essere riuscito a leggere oltre le prime pagine), il sostegno sembra al complotto militare di von Stauffenberg (Hitler, che non perdonò Rommel, ebbe invece un occhio di riguardo per J., che ammirava molto, e finse di non notare il ruolo vagamente avuto), o anche il suo “trattato del ribelle” (ma è una cattiva traduzione del titolo originario, “Der Waldgang” che suona invece più o meno come “colui che è andato nella foresta”: qualcosa che richiama più un’estraneità, un rifiuto, un amore per la wilderness alla Thoreau, che un vero e proprio impegno).
Restò quindi un po’ in una zona grigia, né nazista né contro. Più che altro possiamo considerarlo un anarchico di destra, nazionalista e spiritualista, un ultimo romantico.
Particolarmente illuminante sulla sua posizione è questo libro, un resoconto tecnico scritto per l’esercito tedesco nella seconda guerra mondiale (a cui Jünger era stato aggregato, pur non avendo più l’età di combattere) durante l’occupazione della Francia.
E’ un testo scritto per l’esercito, tecnico, asciutto, quasi burocratico, senza commenti: nella prima parte, si riassumono le azioni dei partigiani comunisti che in pieno giorno, in città, uccidono ufficiali tedeschi sotto gli occhi di tutti con lucida determinazione e vero sprezzo del pericolo (un po’ come Giovanni Pesce in “senza tregua”); nella seconda parte, riporta le ultime lettere dei condannati a morte per rappresaglia (per lo più giovani operai, colpevoli solo del loro impegno, che come ultima cosa invitano più che altro le giovani mogli o fidanzate a rifarsi una vita, a non vivere nel dolore, a non farsi problemi a cercare in futuro un nuovo amore). E l’enorme sottinteso, mai detto né accennato, in questa prosa asciutta, fredda, di stretto resoconto dei fatti (quasi un “a sangue freddo” ante litteram), è: una profonda ammirazione per queste persone (per questi ribelli).

Nessun commento:

Posta un commento