venerdì 30 luglio 2010

Il terremoto in Cile.

Nel racconto di Kleist, nel momento del terremoto tutto cambia: i condannati in prigione si rivelano eroi, i potenti vili e meschini; gli innamorati separati dalle famiglie si ricongiungono, le funzioni sociali scompaiono: è il momento della verità insomma, del tutto diverso (anzi l’opposto) dalla vita ordinaria.
Ma poi il terremoto finisce. Gli ex prigionieri diventati eroi iniziano pian piano ad essere guardati con diffidenza. I ricchi e potenti riprendono man mano il controllo della situazione. Gli innamorati tornano ad avere problemi, anzi, sempre più velocemente, vengono perseguitati, riportati in galera, i poveri zittiti, ricacciati giù al loro destino. Tutto torna come prima.
Pensiero eminentemente romantico. E il terremoto è come la rivoluzione.

E così, chi aveva dominato assemblee infuocate, tenuto testa alla polizia in scontri di piazza, sbugiardato politici importanti, si ritrova un giorno imbarazzato davanti a un barista scostante, improvvisamente incapace nei giochi di carte, con le maniche che si impigliano nelle maniglie delle porte.

(per Claudio Martelli, estremismo “figlio della malinconia”.
E alla lunga l'esito non può che essere l'autodistruzione.)

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