lunedì 21 settembre 2009

Ricordi di scuola

Sono stato arrestato due volte (processato una). In realtà tecnicamente sono stato ‘fermato’, non arrestato, ma di solito si dice così (suona meglio). Una volta polizia, una volta carabinieri. Comunque per stupidaggini, niente di cui vergognarsi: una volta da minorenne, una festa di strada un po’ esagerata, danneggiamenti, turbamento dell’ordine pubblico, resistenza a pubblico ufficiale, cose così. Assolto per insufficienza di prove (in realtà: totalmente colpevole), il carabiniere in aula tutto rosso disse che non era sicuro di riconoscermi. Falso in atto pubblico, ma ero piccolo, si è comportato bene, lo riconosco  (comunque, assolti tutti noi che si eravamo presentati in aula con un avvocato. Un fricchettone fermato anche lui perché passava di lì per caso, e ora irreperibile perché senza fissa dimora, invece condannato, in contumacia – allora ero troppo sollevato per farci caso, solo adesso che scrivo me ne sono reso conto. Quindi, corretti fino a un certo punto: agli scapestrati figli di papà un buffetto, a quello un po' strano una bella condanna – tanto per chiarire come vanno le cose).
La seconda volta è stato qualche anno dopo. Non facevo già più politica, anzi ero uscito tempo prima proclamando in una riunione che “l’unica rivoluzione è la rivoluzione borghese” (cosa di cui non sono affatto pentito, anzi; ogni tanto mi capita di incontrare qualcuno per strada che mi dice: Ma sei tu! Non ti ricordi? Ero anch’io a quella riunione, ci hai aperto gli occhi!); seguì gran discussione, in fondo i collettivi di Lotta Continua erano luoghi aperti e libertari. Ma ero rimasto in contatto con i miei amici, e qualcuno era finito in galera perché era entrato in gruppi vicini alla lotta armata, e così mi capitava di andarli a trovare in carcere, a portare i libri per continuare a studiare.
La cosa forse aveva insospettito, per cui una sera, all’uscita del bar, c’erano tre gazzelle ad aspettare e mi portarono in questura. Qualche tempo dopo i poliziotti passarono dai genitori di uno di questi finiti in galera, gli dissero: dite a quello di stare attento, lo teniamo d’occhio. E io ovviamente continuai a tornare in carcere - ma con più attenzione. Perché effettivamente ero stato avvicinato da uno che si occupava di temi carcerari, che mi aveva chiesto se ero interessato a ricevere del materiale, a mettermi in contatto con delle persone, e io da vero citrullo ovviamente avevo detto di sì. Aveva notato la cosa un dirigente di un’organizzazione, che mi prese da parte e mi disse: attento. E comunque la polizia andò dai genitori del mio amico, non dai miei. Tutto sommato, corretti anche loro.

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