La seconda volta è stato qualche anno dopo. Non facevo già più politica, anzi ero uscito tempo prima proclamando in una riunione che “l’unica rivoluzione è la rivoluzione borghese” (cosa di cui non sono affatto pentito, anzi; ogni tanto mi capita di incontrare qualcuno per strada che mi dice: Ma sei tu! Non ti ricordi? Ero anch’io a quella riunione, ci hai aperto gli occhi!); seguì gran discussione, in fondo i collettivi di Lotta Continua erano luoghi aperti e libertari. Ma ero rimasto in contatto con i miei amici, e qualcuno era finito in galera perché era entrato in gruppi vicini alla lotta armata, e così mi capitava di andarli a trovare in carcere, a portare i libri per continuare a studiare.
La cosa forse aveva insospettito, per cui una sera, all’uscita del bar, c’erano tre gazzelle ad aspettare e mi portarono in questura. Qualche tempo dopo i poliziotti passarono dai genitori di uno di questi finiti in galera, gli dissero: dite a quello di stare attento, lo teniamo d’occhio. E io ovviamente continuai a tornare in carcere - ma con più attenzione. Perché effettivamente ero stato avvicinato da uno che si occupava di temi carcerari, che mi aveva chiesto se ero interessato a ricevere del materiale, a mettermi in contatto con delle persone, e io da vero citrullo ovviamente avevo detto di sì. Aveva notato la cosa un dirigente di un’organizzazione, che mi prese da parte e mi disse: attento. E comunque la polizia andò dai genitori del mio amico, non dai miei. Tutto sommato, corretti anche loro.
Nessun commento:
Posta un commento