domenica 20 settembre 2009

Oppenheimer

di Kai Bird e Martin J Sherwin (Garzanti)

Era di ricca famiglia di industriali newyorkesi (immigrati ebrei).
Era colto, intelligentissimo, brillante, snob, elegante – in modo un po’ originale e un po’ fané; grande scienziato, di costumi moderni, pacifista, di sinistra, gli piaceva la vita sociale, divertirsi, chiacchierare, affascinare le signore; amava la natura e faceva lunghi giri a cavallo nelle montagne deserte del Nevada; entrò nel progetto della bomba atomica per paura e odio del nazismo.
Eppure, quando i tedeschi furono sconfitti e si scoprì che erano molto lontani dal costruire la bomba, a differenza di altri scienziati (ebrei anche loro) che abbandonarono il progetto e non diventarono famosi, lui non si fermò.
Eppure, quando si doveva scegliere il luogo dove fare gli esperimenti, fu lui a suggerire le montagne del Nevada che amava tanto (e che furono devastate e distrutte).
Eppure, quando si capì che la bomba non serviva contro obbiettivi militari e si decise di usarla in prossimità di obbiettivi civili, anzi, proprio su zone abitate, anzi, meglio se possibile su città densamente affollate di profughi, non si tirò indietro.
E quando il Giappone si era oramai arreso (anche se non ancora ufficialmente) diede ancora gli ultimi decisivi ritocchi alla bomba che stava per essere lanciata (non credete alla favoletta della bomba sganciata per indurre il Giappone alla resa: nel libro – che ha vinto il Pulitzer per l’accuratezza della documentazione – ci sono prove inoppugnabili).
E la domanda è: perché l’ha fatto? Gli Stati Uniti si sa, per mostrare al mondo che loro avevano la bomba più grossa. Ma lui? Non doveva per forza mandare all’aria tutto, creare scandalo: bastava un po’ meno di zelo, non riuscire in qualcosa, un piccolo ritardo. E invece niente, è andato fino in fondo, implacabile.
Sicuramente ha giocato il tipico desiderio, dopo tutto quello sforzo, di portare a termine il lavoro, di vedere il risultato: spesso non ci si riesce a fermare.
Poi, c’è stata forse la voglia di togliersi di dosso l’immagine di fisico geniale sì, ma un po’ inconcludente (che sembra gli avesse impedito di arrivare al Nobel).
Probabilmente poi c’è stata l’illusione di poter esercitare il potere, lui scienziato, nei confronti dei politici, di avere il coltello dalla parte del manico; ma ci misero poco a fargli cambiare idea, quando si oppose alla bomba H, e in quattro e quattr’otto lo condannarono in un processo farsa per attività antiamericane.

Ma alla fin fine il motivo per cui costruì la bomba sembra sia stato per puro narcisismo.

(Passò gran parte degli ultimi anni in un isola appartata dei Caraibi, dove litigava con i vicini.
La figlia si suicidò.
Il figlio andò a fare l’operaio.)

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