In una casa di Kiev, durante le rivoluzione, alcuni giovani lealisti attendono cosa potrà accadere.
Si sta avvicinando alla città un esercito di sbandati, rivoltosi, briganti: ed è un esercito forte, loro sono pochi, non potrebbero resistere. Vicino c’è l’esercito tedesco, che potrebbe intervenire: ma sarebbe finire sotto lo straniero.
Nel frattempo festeggiano le tradizioni di Natale con le giovani amiche e le sorelle, cantano, scherzano, si fanno coraggio; aspettano di notte nella neve che arrivino. Più in là, da qualche parte, c’è anche l’Armata Rossa.
E alla fine eccoli i briganti, stanno entrando in città. Un vecchio colonnello li affronta da solo, la spada sguainata, a piedi; viene subito ucciso.
E il libro finisce così, senza concludersi; perché un libro non può finire con la morte dei protagonisti, con cui l’autore (e il lettore) si identificano.
Stranamente, era il libro preferito da Stalin (nella versione teatrale però: I giorni dei Turbin), che ci vedeva forse il passaggio dell’eredità dello zarismo al comunismo.
Secondo me invece la conclusione si trova in Fuoco pallido di Nabokov (anche se non credo che lui sarebbe d’accordo).
[preciso poi che l'edizione Feltrinelli riporta anche il finale del 1923-24 oltre a quello più noto del 1929; finale più lungo ed esplicito - mentre l'altro è più allusivo - modificato forse in base alle reazioni alla versione teatrale, modificata e aggiustata senza peraltro a mio parere cambiarne granché significato, come peraltro faceva il suo Moliére]
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