martedì 12 aprile 2022

Uccideresti l'Uomo grasso?

di David Edmonds


Immaginiamoci un treno lanciato in folle corsa verso un precipizio con sopra dei passeggeri innocenti destinati a schiantarsi, a meno che... a meno che un uomo grasso inavvertitamente si disponga vicino a uno scambio, così che, quando il treno arriva, lo travolga azionando però lo scambio, in modo che tutti i passeggeri si salvino venendo indirizzati a un binario morto. Tu sei lì a vedere da lontano (sopra un ponte, per dire), sai tutto, ma non puoi intervenire. Puoi solo gridare all'uomo grasso di scansarsi e salvarsi – ma così i passeggeri morirebbero. Lo faresti? O lasceresti morire l'uomo grasso?

È questa (in grande sintesi) la domanda del tutto teorica posta negli anni - con mille variazioni - da un gruppo di filosofi morali a vari set di intervistati, per capire dalle loro risposte quali erano le piccole differenze che modificano e orientano la nostra percezione su cosa è giusto e sbagliato fare. Ad esempio, la risposta varia con il numero dei passeggeri sul treno: se i passeggeri sono numerosi (più di venti) di solito l'uomo grasso viene sacrificato, se sono pochi (meno di quattro) di solito viene salvato (il numero magico su cui si oscilla è sedici), e insomma questo è ragionevole. Come ci si può aspettare, dipende anche da chi c'è sul treno: se c'è la mamma, la fidanzata o il figlio/la figlia dell'intervistato, l'uomo grasso è spacciato, è evidente. Altre variazioni sono più sorprendenti: non avvisare l'uomo grasso del pericolo è un conto, non sembra essere un problema; altra cosa è se lo si deve convincere attivamente a farsi avanti, a posizionarsi nel punto dove verrà travolto: l'omissione quindi non viene percepita come peccato – malgrado la nostra cultura dica il contrario: mea culpa! - il comportamento attivo ingannatorio invece sì.

Ma la cosa più interessante è che le risposte sono molte simili qualunque sia la composizione del panel intervistato: ricchi e poveri, laureati e analfabeti, religiosi e atei, professionisti occidentali e contadini orientali tutti sembrano rispondere più o meno nello stesso modo e senza pensarci su troppo (mentre invece la predisposizione dei quiz nelle diverse varianti e la loro interpretazione richiede mesi se non anni di dibattito e di studio agli scienziati). È come se ci fosse un'immediata e unanime percezione dei quesiti morali da parte degli intervistati, e che questa non fosse culturale, ma in qualche modo innata.

C'è anche una versione più estrema del quesito (qualcuno ha avuto anche da ridire sull'”uomo grasso”, non sarà bodyshaming? E quindi è stato sostituito con uno forzuto che porta un sacco di cemento...) ed è questa: immaginiamo un giovane sano che si presenta in un ospedale. Lì ci sono cinque ammalati che attendono un trapianto per salvarsi: uno un cuore, due un polmone e due un rene. I dottori afferrano il giovane sano, gli asportano cuore, polmoni e reni, e salvano cinque pazienti – lo trovate giusto? Noooo! rispondono praticamente tutti gli intervistati. Eppure, secondo l'utilitarismo di Bentham – che è alla base della moderna economia – questa sarebbe la soluzione ottimale.

Bentham verosimilmente soffriva della sindrome di Asperger e questo spiegherebbe molte cose. Ma il punto è: questo vuol dire che nei fondamenti dell'economia c'è qualcosa che fa a pugni con il nostro innato senso morale?



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