domenica 24 maggio 2020

Il gatto.


La prima volta che l'ho sentito era una sera. Avevo lavorato tutto il giorno, la mattina dopo mi aspettava una giornataccia. Miagolava a lungo, sembrava che chiamasse.
Penso che ci sia un gatto intrappolato in solaio, disse mia moglie. Sarà entrato da una finestrella e adesso non riesce ad uscire. Be', prima o poi ci riuscirà, pensai.
Il giorno dopo mi dimenticai del tutto della cosa. Lavoro, riunioni, rogne, soldi, famiglia, cose che non funzionavano, urgenze, scadenze.
La sera era di nuovo lì a miagolare. Domani lo dico alla portinaia, mi dissi, che lo vengano a cercare. Ma era venerdì sera, il sabato e la domenica la portineria era chiusa, nel weekend andammo in Liguria, ci avevano prestato una casa, meglio non perdere l'occasione, una scappata ci farà bene, e fra una cosa e l'altra saremmo tornati molto tardi. Per un paio di giorni non sentimmo niente, se ne sarà andato, pensammo, e ci dedicammo ad altro.
Poi di nuovo un miagolio, la notte: adesso sembrava che piangesse. Avvisai la portinaia, che chiamò il padrone di casa, che mandò degli uomini a vedere. Tra una cosa e l'altra, arrivarono tre giorni dopo. Del gatto nessuna traccia. Anzi, no, lo trovarono in un angolo, morto, di fame e di sete, verosimilmente.
La padrona del gatto quando è venuta a riprenderselo aveva le lacrime agli occhi, mi disse la portinaia, perché non l'avete cercato prima? Avevo anche le chiavi del solaio, mi venne in mente, sarei potuto salire su a prenderlo, sarebbe stato semplice. Be', ma in fondo era colpa sua, poteva anche non farlo uscire, no? Bastava che se ne fosse rimasto a casa, e non sarebbe successo niente. Giusto, no?


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