Kennedy era bello. Johnson no, anche se
era abbastanza alto - ma bello no. Kennedy era ricco di famiglia.
Johnson no, era nato povero, si era fatto da solo. Kennedy era uno
stronzo con le donne (ma aveva successo), Johnson era molto legato a
sua moglie, che aveva conosciuto prima di avere successo.
Kennedy ha cercato di invadere Cuba con
la CIA, e ha iniziato la guerra in Vietnam. Aveva anche rapporti con
la mafia. Johnson ha iniziato il più grande programma di protezione
sociale americano (the Great Society) e ha dato i diritti civili ai
neri. Ha anche cercato di finire la guerra in Vietnam ereditata dal
suo predecessore, senza però riuscirci, ostacolato dalla destra
repubblicana di Nixon (che invece la pace la fece nel 1973). Insomma,
uno era un figlio di puttana e l'altro no – per carità, magari
anche lui, ma meno.
Eppure, tutti adorano Kennedy e tengono
in poco conto Johnson. Anche il segretario della federazione
giovanile comunista (comunista!) italiana di allora adesso dice che
da giovane era kennediano (figurarsi! Se era comunista, i suoi idoli
quel tempo dovevano essere Brežnev
e Kossighin, no? Se fosse stato davvero per Kennedy, come mai non era
repubblicano o simili? C'è da sganasciarsi – davvero c'è da
chiedersi come mai non sia stato seppellito dalla risate).
Comunque sia, Johnson è forse il
presidente americano che nei fatti è stato il più progressista di
sempre – eppure è considerato un simbolo dell'establishment,
osteggiato e sbeffeggiato dai movimenti degli anni '60. Amareggiato
da tanta impopolarità, non si presentò per un secondo mandato,
preferendo ritirarsi nel suo ranch (dove morì relativamente
giovane), aprendo la strada a Nixon e alla revanche conservatrice e
reazionaria che da allora domina il mondo. C'e anche chi dice che sia stato in realtà Johnson a organizzare l'attentato a Kennedy, per pura invidia.
Insomma, ci sarebbe materia per farne
un racconto articolato e complesso. E invece, lo scrittore D.F.
Wallace (sì, proprio lui, l'osannato autore di Infinite Jest) tira
fuori un racconto senza capo né coda in cui Johnson scoreggia, ha un
assistente che gli appiccica i francobolli e non si capisce perché,
assistente che sposa un haitiano anche se ovviamente i matrimoni gay
allora non c'erano, e infine muore anzitempo di infarto.
Ho letto recensioni entusiastiche di
questo racconto. Davvero. Io invece lo trovo “arty”. Ovvero,
quell'atteggiamento di quando hai sì un certo talento, ma non sai
come usarlo: e le trame ti sembrano tutte ovvie, e i personaggi
scontati, e allora cosa fare? Qualche bizzarria. Qualcosa di
stravagante a cui non aveva pensato nessuno, e tutti a dirsi: ecco un
artista! Come quegli architetti che sanno costruire solo palazzate
con le finestre tutte uguali, tipo ministero della paura, e
invece no: una di sghembo. E perché mai? È
lo sgarro, la bizzarria che mostra che siamo di fronte a un genio,
chissà mai cosa avrà voluto dirci. E così tanti autori americani:
scrivono racconti con lo stampino (vedi New Yorker), ma per
aggiungere un po' di pepe, ecco: una cosa strana. Meglio Johnson,
forse.
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