lunedì 29 aprile 2019

Arty (Johnson e Kennedy)


Kennedy era bello. Johnson no, anche se era abbastanza alto - ma bello no. Kennedy era ricco di famiglia. Johnson no, era nato povero, si era fatto da solo. Kennedy era uno stronzo con le donne (ma aveva successo), Johnson era molto legato a sua moglie, che aveva conosciuto prima di avere successo.
Kennedy ha cercato di invadere Cuba con la CIA, e ha iniziato la guerra in Vietnam. Aveva anche rapporti con la mafia. Johnson ha iniziato il più grande programma di protezione sociale americano (the Great Society) e ha dato i diritti civili ai neri. Ha anche cercato di finire la guerra in Vietnam ereditata dal suo predecessore, senza però riuscirci, ostacolato dalla destra repubblicana di Nixon (che invece la pace la fece nel 1973). Insomma, uno era un figlio di puttana e l'altro no – per carità, magari anche lui, ma meno.
Eppure, tutti adorano Kennedy e tengono in poco conto Johnson. Anche il segretario della federazione giovanile comunista (comunista!) italiana di allora adesso dice che da giovane era kennediano (figurarsi! Se era comunista, i suoi idoli quel tempo dovevano essere Brežnev e Kossighin, no? Se fosse stato davvero per Kennedy, come mai non era repubblicano o simili? C'è da sganasciarsi – davvero c'è da chiedersi come mai non sia stato seppellito dalla risate).
Comunque sia, Johnson è forse il presidente americano che nei fatti è stato il più progressista di sempre – eppure è considerato un simbolo dell'establishment, osteggiato e sbeffeggiato dai movimenti degli anni '60. Amareggiato da tanta impopolarità, non si presentò per un secondo mandato, preferendo ritirarsi nel suo ranch (dove morì relativamente giovane), aprendo la strada a Nixon e alla revanche conservatrice e reazionaria che da allora domina il mondo. C'e anche chi dice che sia stato in realtà Johnson a organizzare l'attentato a Kennedy, per pura invidia.
Insomma, ci sarebbe materia per farne un racconto articolato e complesso. E invece, lo scrittore D.F. Wallace (sì, proprio lui, l'osannato autore di Infinite Jest) tira fuori un racconto senza capo né coda in cui Johnson scoreggia, ha un assistente che gli appiccica i francobolli e non si capisce perché, assistente che sposa un haitiano anche se ovviamente i matrimoni gay allora non c'erano, e infine muore anzitempo di infarto.
Ho letto recensioni entusiastiche di questo racconto. Davvero. Io invece lo trovo “arty”. Ovvero, quell'atteggiamento di quando hai sì un certo talento, ma non sai come usarlo: e le trame ti sembrano tutte ovvie, e i personaggi scontati, e allora cosa fare? Qualche bizzarria. Qualcosa di stravagante a cui non aveva pensato nessuno, e tutti a dirsi: ecco un artista! Come quegli architetti che sanno costruire solo palazzate con le finestre tutte uguali, tipo ministero della paura, e invece no: una di sghembo. E perché mai? È lo sgarro, la bizzarria che mostra che siamo di fronte a un genio, chissà mai cosa avrà voluto dirci. E così tanti autori americani: scrivono racconti con lo stampino (vedi New Yorker), ma per aggiungere un po' di pepe, ecco: una cosa strana. Meglio Johnson, forse.


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