Ma la pena e la commozione di Lévi-Strauss quando viene a sapere da un resoconto di un collega che la popolazione india da lui conosciuta anni prima in Brasile, nuda, allegra, piena di bimbi, contenta di fare l’amore, con i suoi giochi e i suoi miti, è ora ridotta a pochi individui, ammalati, incattiviti, diffidenti e rancorosi, e oramai prossimi ad estinguersi: questo è un dolore nero che non avrà mai fine.
(indios i cui antenati, incontrati da Montaigne a Rouen, gli ispirarono riflessioni sullo stato di natura e sul contratto sociale tali da portare alla fine addirittura – dice l’autore – alla rivoluzione francese. Che differenza con il gruppo di cattolici e protestanti che nel Cinquecento si asserragliarono in un’isoletta nella baia di Rio per darsi alle dispute teologiche – mandarono addirittura una richiesta di parere a Calvino! – finendo poi tutti per ammalarsi e morire, senza degnare di uno sguardo quella natura e quella gente lì sotto i loro occhi)
(indios però i cui discendenti si apprestavano ad abbandonare la vita fragile ed eroica nella foresta per un posto più modesto ma sicuro in qualche sperduto insediamento bianco: e avevano abbandonato senza pensarci su due volte l’aquila sacra che tenevano in gabbia - rito secolare della loro tribù. L’aquila è morta, avevano commentato qualche giorno dopo, incamminandosi verso la stazione fluviale dove sarebbero finiti a fare i custodi di qualche impianto.)
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