Immaginiamo che, mettiamo il caso, il tuo grande amore, con cui ti sentivi in così grande intimità, con cui ti capivi così bene... improvvisamente ti lasci per uno che giudicavate tutti e due un emerito stronzo, uno che tratta male le donne, ma guarda caso sportivo, ricco e con una bella moto veloce: lei adesso lo ama e basta (succede).
All’inizio è come il big-bang: non ci riesci neanche a pensarci. Poi, quando finalmente riesci a pensare qualcosa di vagamente frammentario su cosa ti è successo, è come i sistemi solari in formazione. E quando inizi a pensare qualcosa di un po’ più di coerente, sei come su un pianeta in via di raffreddamento. E quando scrivi, sei già seduto su un angolino di quel pianeta. E quando qualcuno ti legge, è come se trovasse un fossile su una spiaggia e cercasse di capire come viveva quell’animale – tutto sommato in modo banale.
Come quelli che registrano con uno strumento speciale l’eco del fievole rumore di fondo delle galassie. Certo, solo così sappiamo che è esistito, lo immaginiamo e lo studiamo; ed esiste perché lo pensiamo. Ma il big bang vero è lontano.
(nella lettura, gli occhi dello scrittore – che un giorno ha vissuto e ha sentito sé stesso come "io" – diventano temporaneamente i miei. Ma lui un giorno ha sentito sé stesso come io, proprio come adesso lo sento io e come lo sentono tutte le persone, nessuna esclusa. Come adesso sento il mio io mentre scrivo – e come lo senti tu mentre leggi.)
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