lunedì 12 aprile 2010

Problemi teoretici del viaggiare.

Innanzitutto, se uno parte, e arriva nello stesso luogo, ha veramente viaggiato? E ancora: se viaggiare significa spostarsi da un luogo all'altro, cosa significa "essere in un luogo"? E poi: mentre ci si sposta da un luogo all'altro, dove si è? Si è in un luogo? No, si è "in viaggio". E una persona seduta in uno scompartimento di un treno, dov'è? Se poi si alza per andare, poniamo, al finestrino, diciamo che ha compiuto un viaggio? No, certamente. E se una persona sta ferma all'interno di un mezzo che si muove, diciamo che viaggia? Certo che sì, ma prendiamo ad esempio una persona seduta in un deserto su un pianeta - ad esempio la Terra - in viaggio intorno al Sole. Se questa persona viaggia, allora tutti sono sempre in viaggio, ma se si è sempre - tutti - in viaggio, non si parte da nessun luogo e non si arriva mai da nessuna parte; e se nessuno è mai in nessun luogo, e non c'è luogo da cui partire e un altro a cui arrivare, allora non siamo neanche in viaggio - effettivamente è un problema piuttosto complesso. Concentriamoci sulla definizione di "luogo". Potremmo dire che un luogo è tale quando gli elementi che lo compongono vanno a definire un'identità, vale a dire un insieme coerente di elementi necessari e autosufficienti e allora perdìo non si capisce perché mai uno dovrebbe andare da un luogo a un altro! se sono autosufficienti. Bisogna supporre che chi viaggia, evidentemente, non sia autosufficiente - e quindi dipenda dai luoghi in cui si trova - quindi non lo possiamo definire al di fuori dei luoghi in cui è, e allora è possibile che esista qualcosa che passa da un luogo all'altro, o non dovremmo forse parlare di modificazione dei luoghi stessi? Ci siamo cacciati in un bel pasticcio.
Allora, per pura convenzione, diciamo che esistono, questi benedetti luoghi; e per comodità, che esiste pure chi parte e chi arriva. E diciamo "luogo" qualunque cosa da cui si può partire e arrivare, "viaggiatore" chi si muove, e "viaggiare" l'attività del viaggiatore; e non parliamone più, e se proprio volete continuare rivolgetevi da un'altra parte, voi e le vostre insidiose domande.
(quando ero piccolo, d'inverno, guardavo i treni passare dal lungomare.
La spiaggia era grigia di sassi, tutto molto tranquillo e umido, il mare misero, ondine, un po' di acqua sporca, un po' di cielo azzurro. Azzurro e grigio: strano accostamento di colori, per un paesaggio. Grigio come l'acciaio, azzurro come i riflessi della benzina sull'asfalto; azzurre le barche, i salvagente, le cabine sulle palafitte, vuote.
Grigio il mio cappottino grigio, pizzicoso, un bambino vestito male con un berrettino da fantino (e paraorecchie di lana, simbolo di infelicità); azzurro quello di mia sorella, anche lei infelice.
Bene, passavano i treni, a fianco di quel lungomare, sulla Genova la Spezia... Livorno Roma, una linea importante, e quindi spessissimo, ma comunque era con vero entusiasmo che ogni volta ne vedevo passare uno.
Anni dopo li sentivo fischiare nella notte, disteso sul mio lettino. Mi alzavo e sollevavo piano uno spiraglio nella tapparella. Vedevo la luce di un lampione, sobbalzare nel vento; o le foglie ferme e silenziose sotto la luna - azzurre e grigie allo stesso tempo...: un fischio, e lo sferragliare caldo del treno che passa, attraverso il paese addormentato, attraverso le strade vuote, il selciato bagnato, il rimbombare di passi solitari, una moto lontana, ecco: attraverso questi suoni sommessi un rumore di vagoni pieni di altra gente, gente che dorme, gente che va in corridoio a fumare una sigaretta, gente che fa un sacco di cose, gente che parla, che scherza: arriveranno tardi, nel fragore di una grande stazione, andranno al buffet; ci si prende un cappuccino, si aspetta un taxi infreddoliti, si arriva in case dove c'è qualcuno che aspetta, si va nel primo albergo che capita - domani alle sette c'è il traghetto... e tante cose che non conoscevo, che mi immaginavo, che non saprei nominare neanche adesso)

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