di G. Lakoff e M. Johnson (Espresso strumenti)
Spesso nel linguaggio quotidiano si fa confusione fra similitudine, analogia e metafora, come se fossero la stessa cosa. In tutti i casi, in effetti il principio di base è lo stesso: esprimere qualcosa di complesso o sconosciuto mediante qualcosa di più semplice (o noto). Così, i primi europei che videro un rinoceronte, lo descrissero usando immagini di animali già noti: ha un corno, un po’ come uno stambecco, ma uno solo, e sul naso (ed ecco l’unicorno); è grosso come un bue, ma ha la pelle corazzata, come una tartaruga, ... eccetera. Da qui la moltitudine di animali strampalati che ha popolato le fantasie letterarie di nuovi mondi.
Ma queste sono similitudini, ovvero descrizioni di qualcosa in termini di qualcos’altro. Le metafore invece non sono descrizioni, ma prescrizioni; hanno a che fare con l’etica (nel senso preciso del termine), sono finalizzate cioè a guidare i comportamenti, ad aiutare nelle scelte.
Cosa facciamo infatti quasi tutti, di fronte a una scelta difficile? Quasi sempre la metaforizziamo (anche se non ce ne rendiamo conto), ovvero l’esprimiamo in termini di un’esperienza più chiara: ad esempio il gioco, o la lotta, o la contrattazione al mercato, o lo scambio sessuale, dove si sa meglio cosa fare. Quando diciamo: “non arrenderti – tieni i piedi poggiati per terra – non farti fregare – non ti apprezza a sufficienza – non dobbiamo fare prigionieri”, le frasi quotidiane sono intrise di valutazioni (che orientano i comportamenti) che rimandano a immagini metaforiche, di cui spesso non ci rendiamo più conto. Ognuno di noi ha una sua metafora vitale (o una sua serie di metafore) a cui ricorre nei momenti difficili, e che danno coerenza e carattere ai suoi comportamenti.
C’è chi sostiene che questo fa parte dell’intima struttura con cui ci relazioniamo con il mondo; e che quindi la metafora è ineliminabile (altro che appelli a “eliminare la metafora” di certi critici letterari!).
Ad un altro livello ancora, l’immagine diventa simbolo (tipicamente nelle religioni: la croce, la torre, il doppio triangolo della stella di David; e poi stelle, falci e martelli, soli che sorgono, mari neri, fiori di pesco, ecc.), dove il rapporto si inverte: è l’oggetto dell’immagine ad essere complesso rispetto alle più semplici azioni reali. Ma qui la cosa inizia a diventare troppo difficile.

Spesso nel linguaggio quotidiano si fa confusione fra similitudine, analogia e metafora, come se fossero la stessa cosa. In tutti i casi, in effetti il principio di base è lo stesso: esprimere qualcosa di complesso o sconosciuto mediante qualcosa di più semplice (o noto). Così, i primi europei che videro un rinoceronte, lo descrissero usando immagini di animali già noti: ha un corno, un po’ come uno stambecco, ma uno solo, e sul naso (ed ecco l’unicorno); è grosso come un bue, ma ha la pelle corazzata, come una tartaruga, ... eccetera. Da qui la moltitudine di animali strampalati che ha popolato le fantasie letterarie di nuovi mondi.
Ma queste sono similitudini, ovvero descrizioni di qualcosa in termini di qualcos’altro. Le metafore invece non sono descrizioni, ma prescrizioni; hanno a che fare con l’etica (nel senso preciso del termine), sono finalizzate cioè a guidare i comportamenti, ad aiutare nelle scelte.
Cosa facciamo infatti quasi tutti, di fronte a una scelta difficile? Quasi sempre la metaforizziamo (anche se non ce ne rendiamo conto), ovvero l’esprimiamo in termini di un’esperienza più chiara: ad esempio il gioco, o la lotta, o la contrattazione al mercato, o lo scambio sessuale, dove si sa meglio cosa fare. Quando diciamo: “non arrenderti – tieni i piedi poggiati per terra – non farti fregare – non ti apprezza a sufficienza – non dobbiamo fare prigionieri”, le frasi quotidiane sono intrise di valutazioni (che orientano i comportamenti) che rimandano a immagini metaforiche, di cui spesso non ci rendiamo più conto. Ognuno di noi ha una sua metafora vitale (o una sua serie di metafore) a cui ricorre nei momenti difficili, e che danno coerenza e carattere ai suoi comportamenti.
C’è chi sostiene che questo fa parte dell’intima struttura con cui ci relazioniamo con il mondo; e che quindi la metafora è ineliminabile (altro che appelli a “eliminare la metafora” di certi critici letterari!).
Ad un altro livello ancora, l’immagine diventa simbolo (tipicamente nelle religioni: la croce, la torre, il doppio triangolo della stella di David; e poi stelle, falci e martelli, soli che sorgono, mari neri, fiori di pesco, ecc.), dove il rapporto si inverte: è l’oggetto dell’immagine ad essere complesso rispetto alle più semplici azioni reali. Ma qui la cosa inizia a diventare troppo difficile.

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