venerdì 23 ottobre 2009

Tocqueville

La democrazia in America
Viaggio in America
L’antico regime e la rivoluzione


Colpisce nell’autore innanzitutto il rapido acume: nel diario di viaggio in America già dopo la prima settimana (era il 1832, aveva ventisei anni) ci sono giudizi fulminanti: gli indiani non si integreranno mai, sono destinati allo sterminio; ci sarà un lungo problema razziale dopo la liberazione degli schiavi, ecc.; fino alla famosa profezia sul dualismo mondiale Russia-America, che soprattutto negli anni ’70 faceva impressione, tanto sembrava descrivere i futuri blocchi (adesso un po’ meno). Ma anche gli altri giudizi sono acuti e precoci: il pericolo della dittatura della maggioranza, l’atomizzazione individuale, l’importanza della religione (protestante, separata dallo Stato) nella coesione della società, dell’etica condivisa e del senso di responsabilità, delle libere associazioni e dei corpi intermedi fra lo Stato e gli individui.
E bisogna pensare che gli Stati Uniti all’epoca erano ancora agli albori, tanto è vero che nel trasferirsi da Boston a Filadelfia annota stupito come si debba viaggiare nella foresta vergine, lungo sentieri indiani, facendosi largo fra immensi alberi crollati che nessuno ha provveduto a rimuovere (tanto diverso dal paesaggio europeo!).
Ma anche L’Ancien Régime è fulminante: quando segnala come sia stata la monarchia stessa ad affrettare la propria fine incoraggiando i philosophes, nella ricerca di alleati contro clero e nobiltà; o l’odio generato dalla doppia tassazione per la manutenzione delle strade (a carico delle città come tassa, e poi di nuovo a carico come opere, perché la tassa veniva riscossa sì, ma spesa altrove – ricorda un po’ quello che succede oggi con gli oneri di urbanizzazione, per chi è del mestiere).
Come altri uomini politici intelligenti, la sua carriera non fu altrettanto brillante: prima appoggiò la repressione dei moti del ’48 (compresa l’abolizione della libertà di stampa); poi, diventato ministro, dovette dimettersi ed assistere al trionfo dell’odiato dispotismo modernista di Napoleone III.
E’ come se la troppa intelligenza non facesse parte delle doti necessarie ad essere un politico vincente.

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