“Parlare chiaro” e “parlare in modo esplicito” non sono
evidentemente la stessa cosa. Un manuale di istruzioni deve essere esplicito;
la letteratura, che è un po’ un tentativo di seduzione, molto meno. Anzi,
quando si parla dei propri amori, desideri e dolori, essere troppo espliciti
spesso è sgradevole, poco seduttivo, e quindi poco comunicativo. Non essere
troppo espliciti però non vuol dire essere inutilmente ermetici o elusivi.
Quello che si vuol dire deve essere chiaro, ma non sguaiato; e
questo è il difficile.
La vita di Nabokov ad esempio fu segnata da diverse tragedie
famigliari: il padre (uomo politico liberale della rivoluzione di Kerenskij) fu
ucciso da un fanatico nazista proteggendo con il suo corpo un amico dai colpi di
pistola (che cosa ottocentesca! quasi da romanzo d’appendice). Ma Nabokov non
ne parla mai (almeno direttamente). E’ – come ha detto un critico – un po’ come
un bambino che si sforza di non mettersi a piangere, e per orgoglio stringe i
pugni e inghiotte lacrimoni – ma non dà la soddisfazione a chi lo ha offeso.
Ne parla però indirettamente. Nel “Dono” il protagonista è a
Berlino, in esilio dalla Russia. Il padre anni prima è partito per uno dei suoi
viaggi di ricerca naturalistica nelle regioni d’oriente, e non è più tornato,
non se ne sa nulla. Una sera, il protagonista viene chiamato dalla sorella
tutta eccitata e felice, presto vieni, e attraversa di corsa tutta la città
buia, fino ad arrivare alla casa dei suoi, corre su per le scale, in ingresso
la mamma lo accoglie emozionata e sorridente, è di là, e nella stanza di fianco
ne sente la voce, c’è qualcuno, è il papà che è ritornato, eccolo – Ma è tutto
un sogno. Solo così il protagonista può ammettere che è morto e non lo vedrà
mai più.
Nel mio piccolo sono molto più petulante, e delle mie
tragedie (vere o presunte) parlo molto di più.
E salendo su da Cavi per il sentierino lastricato di lavagna
in mezzo agli ulivi, dove da piccoli facevamo una passeggiata tipica con i
genitori, una lunga scalinata su dalla spiaggia grigia e fredda, su quelle
lastre scure e consunte per l’uso, che adesso le hanno quasi tutte sostituite,
con pezzi irregolari però, o che sono mezze rotte, fra le erbacce, non c’è
nessuno, come tutte le volte oramai che torno qui ostinatamente da anni. Ma
stavolta, mentre alla fine ci si avvicina alle case con gli orti verso Santa
Giulia, ecco lì sul piazzale dove ci siamo incontrati tante volte da ragazzi,
ci sono loro, un po’ invecchiati ma sempre uguali, L. e M., A., B. e S., che mi
sorridono ironici come sempre, come mai anche voi qui? Ma guarda che caso,
forse giù in paese ci sembra di avere visto anche B.
Ma allora anche voi in qualche modo ve la siete cavata in
quel periodo terribile, no, L. no – non lo sapevo, ma non mi stupisce. E poi? E
il lavoro, la casa, la famiglia? Sorrideranno, ironici.
Ma non c’è nessuno lì; e adesso è ora di tornare a casa.
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