mercoledì 23 dicembre 2009

Come raccontare le cose tragiche e dolorose.


“Parlare chiaro” e “parlare in modo esplicito” non sono evidentemente la stessa cosa. Un manuale di istruzioni deve essere esplicito; la letteratura, che è un po’ un tentativo di seduzione, molto meno. Anzi, quando si parla dei propri amori, desideri e dolori, essere troppo espliciti spesso è sgradevole, poco seduttivo, e quindi poco comunicativo. Non essere troppo espliciti però non vuol dire essere inutilmente ermetici o elusivi. Quello che si vuol dire deve essere chiaro, ma non sguaiato; e questo è il difficile.
La vita di Nabokov ad esempio fu segnata da diverse tragedie famigliari: il padre (uomo politico liberale della rivoluzione di Kerenskij) fu ucciso da un fanatico nazista proteggendo con il suo corpo un amico dai colpi di pistola (che cosa ottocentesca! quasi da romanzo d’appendice). Ma Nabokov non ne parla mai (almeno direttamente). E’ – come ha detto un critico – un po’ come un bambino che si sforza di non mettersi a piangere, e per orgoglio stringe i pugni e inghiotte lacrimoni – ma non dà la soddisfazione a chi lo ha offeso.
Ne parla però indirettamente. Nel “Dono” il protagonista è a Berlino, in esilio dalla Russia. Il padre anni prima è partito per uno dei suoi viaggi di ricerca naturalistica nelle regioni d’oriente, e non è più tornato, non se ne sa nulla. Una sera, il protagonista viene chiamato dalla sorella tutta eccitata e felice, presto vieni, e attraversa di corsa tutta la città buia, fino ad arrivare alla casa dei suoi, corre su per le scale, in ingresso la mamma lo accoglie emozionata e sorridente, è di là, e nella stanza di fianco ne sente la voce, c’è qualcuno, è il papà che è ritornato, eccolo – Ma è tutto un sogno. Solo così il protagonista può ammettere che è morto e non lo vedrà mai più.

Nel mio piccolo sono molto più petulante, e delle mie tragedie (vere o presunte) parlo molto di più.
E salendo su da Cavi per il sentierino lastricato di lavagna in mezzo agli ulivi, dove da piccoli facevamo una passeggiata tipica con i genitori, una lunga scalinata su dalla spiaggia grigia e fredda, su quelle lastre scure e consunte per l’uso, che adesso le hanno quasi tutte sostituite, con pezzi irregolari però, o che sono mezze rotte, fra le erbacce, non c’è nessuno, come tutte le volte oramai che torno qui ostinatamente da anni. Ma stavolta, mentre alla fine ci si avvicina alle case con gli orti verso Santa Giulia, ecco lì sul piazzale dove ci siamo incontrati tante volte da ragazzi, ci sono loro, un po’ invecchiati ma sempre uguali, L. e M., A., B. e S., che mi sorridono ironici come sempre, come mai anche voi qui? Ma guarda che caso, forse giù in paese ci sembra di avere visto anche B.
Ma allora anche voi in qualche modo ve la siete cavata in quel periodo terribile, no, L. no – non lo sapevo, ma non mi stupisce. E poi? E il lavoro, la casa, la famiglia? Sorrideranno, ironici.
Ma non c’è nessuno lì; e adesso è ora di tornare a casa.

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