di Carlo Mazzantini (Mondadori)
Ecco un esempio di narrativa italiana dotata di una certa sua necessità. Non è un “bel libro”, non è “scritto magistralmente”, ma si capisce bene perché l’autore ha dovuto scriverlo. Con una certa crudezza, senza negare niente, senza complicità o nostalgie, ma anche senza abiure (è successo e basta).
Il punto di vista è semplice: quello che si racconta sulla guerra partigiana è incompleto, dall’altra parte - piaccia o meno - non c’erano solo mostri malvagi (anche se hanno compiuto mostruosità, raccontate senza nascondersi), c'erano anche giovani come lui che volevano essere patrioti, lottare contro l’invasore, "salvare l’onore” del paese. E si sono invece ritrovati a rastrellare partigiani o a fucilare degli innocenti, perché giudicati inadatti a combattere sul fronte di guerra dai loro alleati tedeschi (l’unica volta che sembra proprio che stiano finalmente per affrontare gli inglesi, li fanno ritirare).
E su questa necessità di raccontare il suo punto di vista, l’autore è rimasto su quasi quarant’anni, finché alla fine ce l’ha fatta, a tirar fuori la sua storia.
Chissà se ci vorranno quarant’anni per riuscire a raccontare davvero gli anni ’70 (ci siamo quasi).
mercoledì 14 ottobre 2009
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