martedì 29 settembre 2009

Dolore davanti alla vecchiaia dei genitori.

Vedo mio padre. Non ce la fa più a lavorare, si veste male, fa strani rumori con il naso e con la bocca. Non gli capitano lavori interessanti da anni. Gli unici clienti che gli sono rimasti sono ancora i vecchi clienti del nonno, che continuano per fedeltà a rivolgersi a lui. Lui si arrabatta, corre, sbuffa, fa mille cose, si adatta alle prestazioni più mortificanti. Accetta tutto. L'età d'oro di un professionista l'ha passata da un po', e non ha combinato niente di importante.
Lui ha sempre sostenuto che ognuno è artefice del proprio destino. Gli stupidi... fuori! a calcioni! I deboli devono essere schiacciati. Chi si lamenta è solo un fallito. I falliti devono riconoscere il diritto del più forte. E così via.
Come odia, e invidia, il giovane medico, sorriso sulle labbra, abbronzato: fa interventi rivoluzionari, pubblica ricerche, interviene ai congressi, viaggia, incontra, modula la voce giusta, rimbrotta, quando deve strigliare qualcuno o salutare deciso e gioviale, il cliente importante! Lui intanto si arrabatta con piccole, lunghe, rognose malformazioni. Quando ha poco da fare, va a tenere compagnia al vecchio parroco nella chiesa dove non va più nessuno.
I responsabili sono i comunisti. Ma questo non è tanto importante, quanto l'accrescersi dell'odio nei loro confronti man mano che il potere dei comunisti si dissolve, e con loro il suo alibi. Racconta compiaciuto la tragica scomparsa di qualche collega o amico.
Quando vado a trovarlo, di notte lo sento - si alza, tossisce, geme. Sta sdraiato sul letto al buio, sveglio. Va in bagno alle quattro, alle cinque del mattino e non accende la luce (forse per non svegliarci). In cucina si mangia rumorosamente una mela. È notte fonda.

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