giovedì 8 ottobre 2009

Hermann Buhl


Su e giù dagli ottomila (SEI)


Raro esempio di libro di alpinismo poco retorico e poco dedito al sublime (per chi non lo conoscesse, Buhl è stato un alpinista austriaco di famiglia semplice - di mestiere faceva il portatore di birre ai rifugi, il mulo umano insomma; poi riuscì a diventare commesso in un negozio, ma i soldi erano sempre pochi per cui ad esempio quando scalò - in prima solitaria - la mitica parete Nord-Est del Badile, se ne dovette tornare la sera stessa a casa in bicicletta, Passo del Maloja compreso, finendo per cascare nell'Inn per il troppo sonno! Ebbe finalmente la sua grande occasione partecipando alla spedizione al Nanga Parbat nel '53; quando però si seppe che gli inglesi avevano conquistato l'Everest, e quindi avevano rubato la scena per quell'anno, tutti si demoralizzarono e decisero di tornare a casa; lui no, era la sua occasione e partì da solo dall'ultimo campo. Lo aspettavano 1.400 metri di dislivello e molti chilometri a piedi in un ambiente difficilissimo dove nessuno era mai stato, a 8.000 metri di altezza, la "zona della morte" come veniva chiamata; ebbene il libro è il racconto di questa che forse è la più grande impresa nella storia dell'alpinismo):
1. conclusione perfetta di una lunga preparazione, dove gli elementi negativi della sua vita – fatica, solitudine, condizioni avverse, poco tempo a disposizione – (causa povertà) diventano fattori di successo.
2. ingenuità letteraria che comunica in modo immediato lo stupore di fronte alla dimensione delle montagne himalayane. Fino a quel punto la retorica è quella classica alpinistica – il maestoso paesaggio, le cime inviolabili, le discese ardite... - ma il Nanga Parbat è decisamente più grande di qualunque altra montagna vista, come nell' episodio della valanga (due chilometri di fronte) dagli esiti inattesi (spostamento d' aria, nuvola di neve) pur a grande distanza.
3. eccezionalità dell'impresa, dovuta sostanzialmente alla caparbietà e al fanatismo di B. (gli altri se ne erano già andati, perché quell'anno la conquista dell'Everest aveva rubato la scena): nessuno ha mai fatto una prima su un ottomila da solo, nessuno prima aveva passato la notte all'addiaccio sopra gli ottomila (secondo i medici la morte era certa).
4. impressione del secondo inesistente, che improvvisamente nei momenti difficili inizia a dare consigli, a ricordare di mettersi i guanti di riserva, che lo mette in sicura nei passaggi difficili, somma di tre immagini: angelo custode (B. non è né religioso né spiritualista o almeno di queste cose non parla mai, è molto tecnico, e proprio per questo l' immagine colpisce all'improvviso e inaspettata); mito alpinistico del compagno di cordata; mito himalayano dello yeti.
5. ritorno di B. stremato e filmato dal compagno che lo aspetta! Immagine, prima del racconto, priva di significato, e poi quanto mai commovente – pensavano fosse morto, ed ecco all'improvviso sulla montagna bianca un puntino che si muove, pian piano viene avanti, è lui, è come se fossimo noi ad accoglierlo, così come l' abbiamo conosciuto e accompagnato fino in cima.
6. prima le polemiche e poi il Broad Peak, primo ottomila salito in stile alpino (vale a dire senza portatori di alta quota e senza ossigeno, a dimostrare che non servono grandi soldi e grandi organizzazioni, una cosa incredibile e mai vista allora - e difficilissima anche adesso), ma con i compagni più giovani più svelti, quasi una mezza figuraccia
7 e ultimo = immediata e tragica fine sul Chogolisa, così sciocca, così evidente nei suoi motivi psicologici, così impietosamente registrata dalla foto scattata durante la schiarita che ci mostra il suo – stupido – percorso (e il suo errore) verso la cornice! (non verrà mai più ritrovato) La pietà è nostra,


(stranamente, il titolo del libro in italiano è stato tradotto "E' buio sul ghiacciaio" - chissà perché. La postfazione di Diemberger - grande alpinista - che racconta la fine è retorica e piagnucolosa)


(René Girard in Menzogna romantica e verità romanzesca teorizza il carattere mimetico del desiderio, la tendenza cioè – semplificando molto – ad imitare il comportamento di chi ammiriamo. E quindi è incredibile notare il destino parallelo dei due fratelli Messner, Günther e Reinhold, sul Nanga Parbat sulle orme di Buhl (loro idolo, letto e riletto): uno ne ripercorre il successo nella scalata solitaria quando la spedizione sembra oramai fallita; l'altro la morte nella bufera scendendo dalla vetta – e per anni anche lui non fu ritrovato)

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