mercoledì 23 settembre 2009

Bilanci.

Molta gente ha un buon ricordo degli anni ’70, forse perché erano giovani e con la scusa della rivoluzione era facile attaccare bottone con le ragazze.
Certo, ma non è un valore.
Oppure, perché era divertente fare gli scontri con la polizia, andare tutti i giorni sul giornale (ma questa è una logica da ultras delle squadre di calcio).
E allora mi domando: vale la pena salvare qualcosa degli anni ’70 (o è tutto da buttare)?
Cominciamo cercando gli aspetti positivi (è la parte più difficile, sia perché è più facile parlare delle cose che non funzionano, sia perché qualcuno potrebbe dire che non ce n'erano. Ma tentiamoci). Per me sono (ah, sto parlando dei gruppi estremisti in qualche modo libertari, non del Pci o dei neostalinisti):
COSE DA SALVARE
autonomia (non operaia): non dipendere da altri, contare sulle proprie forze; non fare solo quello che gli altri vogliono da te (anche in campo sentimentale); non fingere amori o pensieri fasulli
impegno: rischiare in proprio, metterci la faccia (ma forse non è una cosa così positiva, anche il disimpegno ha i suoi pregi)
spregiudicatezza (soprattutto intellettuale): guardare le cose per quello che sono, leggere di tutto, fare cose che nessuno fa
radicalismo: guardare in modo ampio, andare al nocciolo delle questioni, non fermarsi ai compromessi quotidiani (anche la Chiesa è radicale)
E poi: stare con gli indifesi (non solo capirli, simpatizzare, sostenere, ma essere nelle condizioni materiali di chi subisce il torto, non di chi lo fa). E ancora: l'antiautoritarismo, diffidare del potere, non schiacciare gli altri.
E adesso passiamo agli aspetti negativi.
COSE DA BUTTARE
Violenza. Ci sono vecchi soloni che prendono ridicole posizioni sul diritto teorico all’autodifesa delle masse o alla violenza liberatoria. Tutto ok, non siamo mica pacifisti; ma è del tutto astratto. L’unico discorso vero e serio da fare è sulla violenza reale, quella realmente avvenuta in quegli anni: dai ragazzini presi a sberle davanti a tutti perché avevano un adesivo di una radio “sbagliata” (banalmente, non di sinistra), ai poveretti rimasti intrappolati e bruciati vivi nei bar, quella violenza è stata orrenda, oscura, vigliacca, senza perdono. Non averlo detto chiaramente per tempo è una condanna per chi non l’ha fatto. E non si è fatto per viltà, e perché la violenza è una droga a cui è difficile rinunciare.
Ma se la violenza è la prima in ordine di importanza, in ordine logico viene prima il settarismo: solo noi siamo dei gran fighi, gli altri sono tutti delle merde. Noi le anime pure, gli altri solo malfattori. Se vieni con noi, ti perdoneremo tutto; se non sei con noi ti distruggeremo.
La terza è la sciatteria: non studiare, non faticare, l’ubriachezza, la promiscuità sessuale banale, la difesa dei fannulloni.
E poi c’è la negatività di principio, l’essere sempre contro, il lugubre gauchismo, il rimandare sempre tutto a “ben’altro”.
E infine, quella grande capacità di sapersi sapientemente riciclare, di tenere il piede in due scarpe: i buoni sentimenti sempre in bocca e l’affannosa ricerca del successo nella pratica (ma non capite, è una maniera di agire all’interno della società, per cambiarla però, prima o poi, sicuro).

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