C'è questa cosa straordinaria: che
siamo dentro di noi e guardiamo fuori, sentendoci noi stessi: siamo coscienti. Ci rendiamo conto di come siamo: e ci sentiamo al
centro del mondo, inevitabilmente interessanti (per gli altri invece non è così, gira tutto attorno a loro).
Ed è così per ognuno. Questo è incredibile. Tutte le persone che girano per strada, che
fanno la fila al supermercato, che si guardano in giro con aria
ottusa: tutte le ragazze, tutte le signore, i vecchi, i poveri, i
ricchi, quel grassone che sta attraversando la strada: tutti hanno
questa autocoscienza, c'è un io dentro di loro che si guarda e
pensa: “questo sono io” (chissà che cosa succederebbe se per un
attimo potessimo essere al loro posto, nella loro testa). Anche per un pastore in una landa desolata o un contadino in
cima a una montagna è così (e anche per me che scrivo e per
te che leggi, caro e ignoto lettore). Tutti noi miliardi di
individui anonimi siamo autocoscienti.
O, almeno, è quello che appare più
ragionevole. Perché non c'è nessuna prova che gli altri siano anche
loro coscienti, né più né meno di quanto lo sappiamo per una mucca
o di un cane (che magari sono autocoscienti anche loro, solo che non
ce lo dicono. Possiamo saperlo? Possiamo negarlo? Non entriamo nelle
loro teste esattamente come non entriamo in quelle dei nostri figli,
parenti, mogli o fidanzate).
Paradossalmente, questa che è una
delle cose più basilari della nostra vita, più nota ed evidente, è
anche una delle meno spiegate. Da un punto di vista scientifico, ne
sappiamo più o meno come i filosofi greci (ovvero: niente). Non c'è
evidenza scientifica, un particolare neurone, una scintilla che si
accende (se non nelle nostre metafore), né un pensiero teorico che
regga (provate ad esempio a leggere Rosso di Nicholas Humphrey...).
Non riusciamo neanche a distinguere fra un prima e un dopo: prima non
eravamo coscienti, adesso lo siamo (e un giorno non lo saremo più).
Quando è avvenuto? A quale stadio evolutivo? Prima eri come una
scimmia e improvvisamente: sono io! Chi è il primo che l'ha pensato?
Era l'unico, e tutti gli altri nulla? Non si sa, e non si saprà mai
(ma anche i Neanderthal, poveretti, sembra che fossero coscienti).
Comunque c'è. Ed è alla base di
pensieri potenti, ad esempio: l'uguaglianza, i diritti e i doveri
comuni. Anche Hitler era cosciente, come noi e voi, ad esempio. Anche
una pornostar, un assassino, un malato terminale sono coscienti,
anche loro si sono detti: ehi, ma è a me che sta capitando questa
cosa? - in questo siamo tutti uguali. Così come siamo uguali davanti
al fatto che nasciamo e moriamo, e che quello che c'è in mezzo è la
nostra unica occasione (stranamente vicino al pensiero di Dio, no?
che in fondo sembra una espressione plastica di questa evidenza – o
viceversa).
Tanti pensieri religiosi peraltro
sembrano avere legami fisiologici. Una vecchia africana
dell'Ottocento diceva ad esempio ad un esploratore tedesco: voi
uomini non capite le donne. Gli uomini sono sempre uguali, mentre le
donne sono due, diverse. Prima c'è una ragazza, poi succede una
cosa, di cui non parlo; e poi c'è una mamma. E queste due donne sono
diverse (come peraltro confermato dalla fisiologia moderna, cambiano
gli ormoni e alcuni funzionamenti cerebrali). Una ragazza (vergine) e
una madre: non vi ricorda qualcuno? E in mezzo è successo qualcosa,
che nessuno sa. Lo Spirito Santo?
In quel mezzo c'è però qualcosa che frantuma
l'uguaglianza. Perché non tutti siamo uguali, oh no. E il sesso non è ugualitario. C'è chi vince,
e chi no. C'è chi piace alle donne, e altri che manco vengono
guardati (e viceversa). E questa è una cosa talmente importante, che
spesso è più importante rimarcare le differenze, sottolineare lo
spartiacque, fra noi – vincenti, che andiamo avanti – e gli altri
– quelli che restano indietro, che non contano niente.
Fateci caso: la parola che più compare
nei titoli dei giornali di destra è “umiliazione”. L'ha
umiliato: questa è la parola definitiva. L'ha messo al suo posto.
Non è la meritocrazia, quella che conta, non è lo sviluppo, il
benessere, o altre cose: l'importante è invece chiarire bene i
ruoli, io sono “su” e tu sei “giù”. Io in Paradiso e tu
all'Inferno, insomma. Se nessuno fosse “giù”, se nessuno fosse
condannato, o perdente, allora non si saprebbe neanche di essere
salvati. Ed è anche per questo che, anche se oramai c'è
l'abbondanza, si continua a scannarsi sul lavoro, a diminuire i
compensi, ad aumentare le prestazioni richieste, ad aumentare i
timori: tutto per far capire chi comanda. Perché è quello,
comandare, sentirsi superiori, diversi, schiacciare gli altri, il
vero piacere. Che sensazione di onnipotenza, fare del male! Non si
poteva fare altrimenti, dice fra sé chi è appena arrivato ad una
posizione di potere, e lì ha ben rimarcato la sua posizione
commettendo qualche ingiustizia che gli altri possono solo subire,
zitti. Non è affatto vero che non c'era alternativa: l'ha fatto per
il suo piacere, per sentirsi forte.
La disuguaglianza quindi dà un senso
alla vita, tiene in attività, riempie i tempi morti, distrae,
impedisce di avere il tempo di pensare. Di pensare e appunto di essere coscienti di quella cosa, che
è terribile. Tu sai quale.
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