sabato 21 ottobre 2017

Coscienza

C'è questa cosa straordinaria: che siamo dentro di noi e guardiamo fuori, sentendoci noi stessi: siamo coscienti. Ci rendiamo conto di come siamo: e ci sentiamo al centro del mondo, inevitabilmente interessanti (per gli altri invece non è così,  gira tutto attorno a loro).
Ed è così per ognuno. Questo è incredibile. Tutte le persone che girano per strada, che fanno la fila al supermercato, che si guardano in giro con aria ottusa: tutte le ragazze, tutte le signore, i vecchi, i poveri, i ricchi, quel grassone che sta attraversando la strada: tutti hanno questa autocoscienza, c'è un io dentro di loro che si guarda e pensa: “questo sono io” (chissà che cosa succederebbe se per un attimo potessimo essere al loro posto, nella loro testa). Anche per un pastore in una landa desolata o un contadino in cima a una montagna è così (e anche per me che scrivo e per te che leggi, caro e ignoto lettore). Tutti noi miliardi di individui anonimi siamo autocoscienti.
O, almeno, è quello che appare più ragionevole. Perché non c'è nessuna prova che gli altri siano anche loro coscienti, né più né meno di quanto lo sappiamo per una mucca o di un cane (che magari sono autocoscienti anche loro, solo che non ce lo dicono. Possiamo saperlo? Possiamo negarlo? Non entriamo nelle loro teste esattamente come non entriamo in quelle dei nostri figli, parenti, mogli o fidanzate).
Paradossalmente, questa che è una delle cose più basilari della nostra vita, più nota ed evidente, è anche una delle meno spiegate. Da un punto di vista scientifico, ne sappiamo più o meno come i filosofi greci (ovvero: niente). Non c'è evidenza scientifica, un particolare neurone, una scintilla che si accende (se non nelle nostre metafore), né un pensiero teorico che regga (provate ad esempio a leggere Rosso di Nicholas Humphrey...). Non riusciamo neanche a distinguere fra un prima e un dopo: prima non eravamo coscienti, adesso lo siamo (e un giorno non lo saremo più). Quando è avvenuto? A quale stadio evolutivo? Prima eri come una scimmia e improvvisamente: sono io! Chi è il primo che l'ha pensato? Era l'unico, e tutti gli altri nulla? Non si sa, e non si saprà mai (ma anche i Neanderthal, poveretti, sembra che fossero coscienti).
Comunque c'è. Ed è alla base di pensieri potenti, ad esempio: l'uguaglianza, i diritti e i doveri comuni. Anche Hitler era cosciente, come noi e voi, ad esempio. Anche una pornostar, un assassino, un malato terminale sono coscienti, anche loro si sono detti: ehi, ma è a me che sta capitando questa cosa? - in questo siamo tutti uguali. Così come siamo uguali davanti al fatto che nasciamo e moriamo, e che quello che c'è in mezzo è la nostra unica occasione (stranamente vicino al pensiero di Dio, no? che in fondo sembra una espressione plastica di questa evidenza – o viceversa).

Tanti pensieri religiosi peraltro sembrano avere legami fisiologici. Una vecchia africana dell'Ottocento diceva ad esempio ad un esploratore tedesco: voi uomini non capite le donne. Gli uomini sono sempre uguali, mentre le donne sono due, diverse. Prima c'è una ragazza, poi succede una cosa, di cui non parlo; e poi c'è una mamma. E queste due donne sono diverse (come peraltro confermato dalla fisiologia moderna, cambiano gli ormoni e alcuni funzionamenti cerebrali). Una ragazza (vergine) e una madre: non vi ricorda qualcuno? E in mezzo è successo qualcosa, che nessuno sa. Lo Spirito Santo?
In quel mezzo c'è però qualcosa che frantuma l'uguaglianza. Perché non tutti siamo uguali, oh no. E il sesso non è ugualitario. C'è chi vince, e chi no. C'è chi piace alle donne, e altri che manco vengono guardati (e viceversa). E questa è una cosa talmente importante, che spesso è più importante rimarcare le differenze, sottolineare lo spartiacque, fra noi – vincenti, che andiamo avanti – e gli altri – quelli che restano indietro, che non contano niente.
Fateci caso: la parola che più compare nei titoli dei giornali di destra è “umiliazione”. L'ha umiliato: questa è la parola definitiva. L'ha messo al suo posto. Non è la meritocrazia, quella che conta, non è lo sviluppo, il benessere, o altre cose: l'importante è invece chiarire bene i ruoli, io sono “su” e tu sei “giù”. Io in Paradiso e tu all'Inferno, insomma. Se nessuno fosse “giù”, se nessuno fosse condannato, o perdente, allora non si saprebbe neanche di essere salvati. Ed è anche per questo che, anche se oramai c'è l'abbondanza, si continua a scannarsi sul lavoro, a diminuire i compensi, ad aumentare le prestazioni richieste, ad aumentare i timori: tutto per far capire chi comanda. Perché è quello, comandare, sentirsi superiori, diversi, schiacciare gli altri, il vero piacere. Che sensazione di onnipotenza, fare del male! Non si poteva fare altrimenti, dice fra sé chi è appena arrivato ad una posizione di potere, e lì ha ben rimarcato la sua posizione commettendo qualche ingiustizia che gli altri possono solo subire, zitti. Non è affatto vero che non c'era alternativa: l'ha fatto per il suo piacere, per sentirsi forte.
La disuguaglianza quindi dà un senso alla vita, tiene in attività, riempie i tempi morti, distrae, impedisce di avere il tempo di pensare. Di pensare e appunto di essere coscienti di quella cosa, che è terribile. Tu sai quale.


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